di Giuseppe Di Palma
Ci sono eventi che restano impressi nella memoria collettiva come un punto fermo nel tempo. Basta nominarli, e tutti ricordano esattamente dove erano e cosa stavano facendo. L’allunaggio del 20 luglio 1969 è uno di quei momenti: un passo simbolico per l’umanità, seguito da milioni di occhi incantati davanti a piccoli schermi in bianco e nero, con l’immaginazione rivolta verso le stelle.
Io ero troppo piccolo per ricordarlo, e mia moglie stava per nascere. Ma in casa ho trovato vecchi quotidiani e riviste di quei giorni, gelosamente conservati. Sfogliando il numero de Il Telegrafo del giorno dopo, mi sono immerso in quell’atmosfera di entusiasmo collettivo, tra titoli a tutta pagina e cronache dettagliate dei momenti più concitati. C’era il comandante che, con un gesto di coraggio e sangue freddo, tolse il pilota automatico e prese il controllo manuale del modulo per evitare un’area troppo rocciosa. E c’era persino una navicella sovietica che cambiò rotta per “spiare” da vicino la missione americana.
Accanto a queste pagine epiche spuntava anche qualcosa che oggi fa sorridere: una pubblicità “per i giovanissimi” annunciava un concerto alla Bussola di un altrettanto giovanissimo Gianni Morandi. Altri tempi, in cui la vita scorreva tra grandi sogni e piccole gioie, accompagnati da un uso di aggettivi che in quest’epoca troppo seriosa fanno un po’ tenerezza.
Ma il vero tuffo nel passato è arrivato quando ho notato un dettaglio sorprendente: su quel giornale erano pubblicizzate ben 16 sale cinematografiche soltanto a Livorno, sei delle quali dedicate alle prime visioni. Oggi se ne contano forse un terzo. E molte di quelle storiche non esistono più.
Scorrendo i nomi delle sale mi chiedevo quanti ricordino ancora il Metropolitan, il Moderno, l’Ariston, l’Arlecchino, il San Marco. Perfino il Goldoni, allora trasformato in sala cinematografica, proiettava Exodus con Paul Newman, mentre al Sorgenti c’era La Morte Ha Fatto l’Uovo con Gina Lollobrigida e Jean-Louis Trintignant, vietato ai minori di 18 anni, chissà poi perché.
Questo piccolo spaccato dice molto su come sia cambiato il nostro rapporto con la settima arte. Una volta il cinema era un rito collettivo, un’occasione per trovarsi e condividere emozioni in un luogo fisico. Oggi un film è diventato un’esperienza più solitaria, spesso consumata nel silenzio di una stanza, davanti a uno schermo portatile, con le cuffiette e con un algoritmo che suggerisce cosa guardare dopo.
Non tutto è un male, intendiamoci. Non dobbiamo cadere nella facile nostalgia. Se da un lato la magia delle vecchie sale si è affievolita, dall’altro viviamo un’epoca in cui l’arte è più accessibile che mai. Con un clic possiamo guardare film provenienti da ogni angolo del mondo, ascoltare musica, leggere, visitare mostre virtuali. L’arte è diventata più democratica, più immediata, senza confini.
La vera sfida, oggi, è un’altra: trovare nuovi modi per rendere la cultura di nuovo un’esperienza condivisa, senza rinunciare alle opportunità del presente.
E in questo Livorno dà buoni segnali. Penso al progetto “Cinema a Colazione”, che propone la proiezione di un film la domenica mattina, accompagnata da una breve introduzione di un esperto e – perché no – da una tazza di caffè e una brioche. Oppure alle “Lezioni di Cinema”, che uniscono la proiezione a momenti di approfondimento tecnico e critico, con ospiti del calibro di Liliana Cavani.
Iniziative da applaudire, che meritano di essere sostenute e replicate. Perché se c’è una cosa che l’allunaggio ci ha insegnato, è che i momenti davvero speciali si vivono insieme. E nessuna tecnologia potrà mai sostituire la magia di uno sguardo e di un sorriso condivisi, che siano verso il cielo o verso lo schermo di una sala buia.
