mercoledì, Dicembre 10, 2025

Non ho parole. Non ci posso credere!

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di Lucilla Serchi, 10 nov 2025

Il Vernacoliere verrà chiuso? Sì… se non si trova un numero significativo di sostenitori pronti a versare 25 euro per l’abbonamento annuale. Nel tentativo di salvarlo, al Museo della Città sarà organizzata una mostra della storia di questa rivista fondata da Cardinali nel 1981 come evoluzione del settimanale di controinformazione libertaria Livorno Cronaca, di cui il Vernacoliere ha incarnato sempre lo spirito libertario, facendo della satira e della polemica lo strumento veritiero del raccontare.

E certamente Cardinali ha saputo cogliere lo spirito della livornesità che è figlio delle molte anime della complessa natura e storia di questa città. Un esprit che io, che livornese non sono, ammiro profondamente. Come non ricordare gli scambi di battute continue e intelligenti che animavano le serate fra amici, quando sono arrivata a insegnare a Livorno! Quel parlato così vivace propio grazie alla rivista che lo ha formalizzato nelle sue pagine e lo ha reso scrittura, ha fatto sentire tutti i Livornesi come potenziali editorialisti di un macrotesto da condividere con la città.

Mi ricordo quando all’ingresso del Centro Donna una mano anonima scrisse: “Centro Donna… Cesco Omo” o ancora l’anno trionfante della promozione, quando sul muro esterno del cimitero si leggeva: “Cosa vi siete persi ragazzi!”.

L’altro giorno, sull’autobus, mentre, con un’amica, parlavo dell’età di mia madre, 103 anni compiuti, alle mie spalle una voce ha esclamato: “Gli ci vòle il cecchino!” Era quella di un livornese, sì, ma molto attempato, erede di quella retorica ormai in declino.

Questo umorismo sapiente è raro e direi addirittura incomprensibile ai giovani livornesi d’oggi. Perché? Perché questo spirito sta scomparendo? Perché la lingua che oggi usiamo si è progressivamente impoverita e ci manca la retorica per saper creare e giocare con le parole.  Ma poiché la lingua è espressione della società in cui viviamo, quando la società non trasmette messaggi, le parole vengono a mancare.

E le parole mancano davvero ai giovani privi di lettura e di capacità ricettive verso ciò che viene trasmesso. Sintomatica di questo problema è la difficoltà che si presenta quando i ragazzi devono affrontare una prova di traduzione da un’altra lingua nella propria. Infatti, non solo nella traduzione dalle lingue classiche, in cui il contesto originario è portatore di una duplice difficoltà (l’ignoranza del contesto storico-culturale e la mancanza di approfondite competenze linguistiche), ma anche nella traduzione dall’inglese — in cui comprendono facilmente il significato originario — spesso non hanno le parole adeguate, nell’atto del translate, per esprimere quanto hanno inteso.

San Girolamo, nell’affrontare la traduzione della Bibbia dal greco in latino, aveva perfettamente chiaro il problema: Significatum est aliquid unius verbi proprietate: non habeo meum, quo id efferam (“Un concetto è stato espresso con la proprietà di una parola: io però non ho una parola mia con cui possa esprimerlo”).
Ma per Girolamo, il letterato più colto della sua epoca, le parole mancavano in quanto il latino era carente rispetto al greco antico, una lingua caratterizzata da un lessico ricchissimo e puntuale. La nostra lingua, invece, non manca affatto di un lessico ricco e preciso; questa risorsa, però, non è fruibile perché i ragazzi oggi non conoscono nemmeno il significato del termine sinonimo.

L’ignoranza lessicale, a mio parere, è trasversale e non dipende né dalle doti naturali né dalla scuola frequentata né dall’estrazione sociale. Il problema è gravissimo, perché la mancanza di parole rende difficile sia formulare e comunicare un pensiero complesso, sia comprendere quello altrui.

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